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Nell’immaginario collettivo la cultura aborigena australiana è rappresentata da Uluru, nota anche come Ayers Rock, la grande roccia rossa che si trova nel deserto dell’Australia centrale, sulla quale un aborigeno seminudo, armato di boomerang, dialoga con gli elementi della natura in una lingua sconosciuta. Se è pur vero che gli aborigeni fossero nomadi e attribuissero alla nudità un significato sociale, in realtà c’è molto di più: la cultura aborigena è la più antica cultura vivente al mondo. Si stima infatti che i primi aborigeni siano giunti sui territori australiani circa 60.000 anni fa.
La religione animista degli aborigeni australiani affonda le proprie radici nel “tempo del sogno” (dream time), tempo mitologico in cui gli spiriti ancestrali hanno dato luogo alla creazione attraverso degli itinerari (dreamtracks) compiuti attraverso la terra vergine, dandole forma.
L’uomo, designato come custode del creato, vive un’esistenza profondamente legata alla natura e a tutte le sue componenti: rocce, canyon, fiumi, cascate, isole, spiagge e tutto ciò che appartiene alla natura, come il sole, la luna, le stelle visibili e gli animali, per gli aborigeni sono testimoni delle storie della creazione e sono tutti sacri. Queste storie sono tramandate oralmente e hanno dato vita a canti tribali che traducono nel linguaggio terreno quello astratto del sogno.
L’arte rupestre è un’altra delle manifestazioni della cultura aborigena nel Northern Territory. Ubirr e Nourlangie Rock sono le più famose gallerie d’arte a cielo aperto, risalenti a migliaia di anni fa. La cosiddetta rock art ha un ruolo fondamentale nella vita spirituale e sociale delle popolazioni del luogo. L’arte rupestre è infatti un vero e proprio sistema di comunicazione di un popolo che ha sempre vissuto spostandosi sul territorio, lasciando tracce ancora visibili per indicare dove trovare sorgenti, segnalare billabong (pozze d’acqua) in cui si vanno ad abbeverare gli animali, raccontare un evento, una storia o una minaccia legata all’ambiente.
Attualmente, dopo lo sfruttamento da parte dei coloni europei, i costumi degli aborigeni sono cambiati. Il nomadismo, e quindi la mancanza di proprietà privata, ha agevolato l’esproprio delle terre da parte dei colonizzatori: oggi gli aborigeni vivono nelle periferie delle città, lavorano come braccianti nelle fattorie dell’entroterra e solo alcuni rimangono radicati nelle loro terre e vivono ancora di caccia e raccolta come i loro progenitori. Solo nel 1967 gli aborigeni sono stati ammessi a partecipare alla vita pubblica, solo negli ultimi decenni si sta agendo per tutelare la ricchissima cultura, dalle lingue alle tradizioni, degli oltre cento gruppi riconosciuti.
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